Ernesto Ragazzoni

Ragazzoni Ernesto

Orta Novarese 1870 – Torino 1920, è stato un poeta, traduttore e giornalista italiano.

Figlio di un ufficiale dell’esercito e proprietario terriero, si diplomò ragioniere nel 1887. Appassionato di letteratura, nel 1891 pubblicò ne «Il cittadino novarese» i primi racconti e la raccolta di poesie Ombra, che comprendono anche traduzioni da Goethe, Edgar Allan Poe e Victor Hugo, nella tradizione della scapigliatura milanese.

Nel 1892, lasciato dopo pochi mesi l’impiego in banca, nel «Il novelliere del popolo» inizia a pubblicare a puntate, come allora usava, il romanzo d’appendice L’ultima dea, che verrà continuato da altri. Nel 1893, trasferitosi a Torino, è impiegato delle ferrovie ma continua la sua attività letteraria, collaborando ai periodici «La Farfalla» e «La Gazzetta Letteraria», e al quotidiano «La Stampa», conoscendo gli scrittori Guido Gozzano e Francesco Pastonchi, il filologo Gustavo Balsamo Crivelli, il professore universitario Zino Zini.

Il 16 aprile 1899 si sposò con la giornalista Felicita Rey, figlia di un colonnello dei bersaglieri. Interessato alla letteratura inglese, nel 1899 e nel 1900 pubblicò alcuni saggi nella rivista bergamasca «Emporium» su Robert Louis Stevenson e Jerome Klapka Jerome. Affascinato da Nietzsche, ne assorbì la critica alla civiltà moderna e l’esaltazione dell’individuo libero dalle convenzioni «borghesi», insieme a concezioni teosofiche e occultistiche, costruendosi un complesso di confuse ideologie anarchiche che espresse negli articoli del bisettimanale monarchico la «Gazzetta di Novara», di cui era diventato direttore nel 1901.

Licenziato dalla proprietà del settimanale per i suoi attacchi alla «buona società» novarese, tornò a «La Stampa», divenendone corrispondente estero: nel 1904 fu a Parigi, poi a Londra e poi ancora, dal 1912 al 1918 ancora a Parigi. Tornato in Italia, passò al «Resto del Carlino» di Bologna e nel 1919 al «Tempo» di Roma.

Morì di cirrosi epatica a Torino il 5 gennaio 1920 e fu sepolto a Piossasco. Eugenio Montale liquidò il valore della sua opera poetica avvicinandolo a quello del Prode Anselmo di Giovanni Visconti Venosta.