Mario Chiattone

Chiattone Mario

Figlio di Gabriele e di Pia Greco, nacque a Bergamo l’11 nov. 1891.
Il padre, Gabriele (1853-1934), noto come tipografo, litografo e cartellonista, autore dei primi cartelloni turistici italiani, contribuì alla formazione del C. sia in quanto possessore di una buona biblioteca specializzata sia per l’amicizia dimostrata verso giovani artisti, primo fra tutti Umberto Boccioni, dal quale acquistò numerose tele a partire dal 1908 (una ventina di esse formano ora la “Collezione Famiglia Gabriele Chiattone” a Lugano). Disegnò una medaglia per il centenario della nascita di G. Donizetti (1897: Museo teatrale alla Scala, II, Milano 1975, n. 1082).

Il C., pur essendo stato cittadino svizzero e avendo vissuto dalla fine della prima guerra mondiale in Svizzera, appartiene in pieno alla cultura italiana per formazione e per l’importante contributo da lui fornito al dibattito sull’architettura futurista. Iniziati infatti i suoi studi di architettura a Milano, all’Accademia di Brera, con una breve parentesi a Bologna, il C. subì inizialmente l’influenza di Boccioni. Nel 1909 conobbe Antonio Sant’Elia, più anziano di tre anni, con il quale condivise l’interesse per l’architettura dell’austriaco Otto Wagner e in generale per la Wagnerschule. Nel 1912 il C. espose alla “Mostra di pittura e scultura rifiutate alla X Esposizione nazionale di Brera”, nelle sale del Cova a Milano, la tela Gru elettrica, in cui alla influenza di Boccioni si viene sovrapponendo una costruzione spaziale architettonica vicina alla ricerca di Sant’Elia. Sempre nel 1912, nello studio messogli a disposizione dal padre a Milano, il C. lavorò fianco a fianco con Sant’Elia, che iniziava proprio in quell’anno la serie di disegni “Città Nuova”. Questi disegni furono presentati successivamente alla mostra organizzata presso la Famiglia artistica di Milano nel maggio-giugno 1914 dal gruppo Nuove tendenze, del quale lo stesso C. era stato uno dei fondatori. In quella mostra il C. presentò tre disegni architettonici, fra cui Costruzioni per la metropoli moderna, che, se da un lato mostra la dipendenza da Sant’Elia, dall’altro rivela un carattere più architettonico e costruttivo.

In seguito alla mostra del 1914, con l’adesione personale di Sant’Elia al futurismo, il gruppo Nuove tendenze si smembrò, date le divergenti posizioni assunte dai vari membri verso il movimento di Marinetti. In particolare il C., pur rimanendo vicino a Sant’Elia, non ne condivise la scelta, che più tardi, in un’intervista concessa a Giulia Veronesi e pubblicata sul quotidiano La Nazione il 5 febbr. 1957, giudicò forzata e quasi non voluta.

Nei disegni eseguiti dal C. fra il 1914 e il 1916 si nota un oscillare fra motivi architettonici comuni anche a Sant’Elia, quali l’uso ripetitivo di linee inclinate per esprimere eleganza e massività, di colonne a sigaro che si innalzano libere a disegnare lo spazio, di sagome triangolari che comprimono monumentalmente elementi verticali, tutte rielaborazioni di elementi propri della Wagnerschule, e la creazione di immagini architettoniche sorprendenti per la loro novità e originalità. Progetti quali Ponte e studio di volumi e Cattedrale VI, entrambi del 1914, Edificio con duetorri, del 1915, Edificio immaginario, del 1916, non sono direttamente riferibili a immagini già conosciute ma evidenziano il carattere prevalentemente statico dell’architettura del C., il cui interesse si incentra, più che nella rappresentazione della dinamicità urbana cara ai futuristi, nella raffigurazione del singolo edificio: la serie di disegni di “cattedrali” documenta una ricerca sul grattacielo, il nuovo tempio urbano, che racchiude al suo interno l’esigenza per un nuovo ordine. Le prospettive angolari fortemente deformate che caratterizzano i disegni del C. sono l’unico riferimento alla dinamicità futurista; la città moderna è, per lui, visione dinamica di elementi statici che conservano il proprio ordine interno pur nella frammentarietà urbana. Osservando le piante per le “cattedrali”, si può rilevare come una composizione planimetrica ripetuta e direttamente riferibile alle cattedrali gotiche serva da supporto per esercitazioni formali in alzato diverse fra loro ma tutte tese alla ricerca della nuova immagine espressione della nuova società. Anche la serie di disegni per “case ad appartamenti”, eseguiti negli stessi anni, colpisce per la novità della struttura compositiva, per l’uso spregiudicato del colore, per la semplicità dell’immagine. Ma è proprio in questi disegni che si avverte il limite dell’opera del Chiattone. Se infatti osserviamo le piante di quelle “case ad appartamenti” notiamo come esse non si discostino da una disposizione planimetrica tradizionale, cui viene successivamente applicato un rivestimento, quasi una pelle tesa su un organismo già sperimentato. L’uso di colori decisi, intesi come elemento di astrazione, e l’inserimento di strutture a sbalzo in metallo, che evidenziano l’intonaco che ricopre l’edificio, se da un lato esprimono indubbiamente la libertà di una ricerca formale che si discosta provocatoriamente da ogni norma precostituita, dall’altro rivelano la fragilità di tale ricerca, la contraddizione fra l’aspetto aleatorio della pellicola di rivestimento e la stabilità di una tipologia residenziale propria di una classe media che aspira alla dignità altoborghese. Una contraddizione che ritroveremo ancora presente nel “Novocomum”, costruito da Giuseppe Terragni a Como nel 1926-28, più vicino alle “case ad appartamenti” disegnate dal C. che ai successivi progetti per abitazioni redatti dall’architetto comasco.

Ma è proprio tale contraddizione, che nel C. ritroviamo a un livello ancora più chiaro confrontando la sua ricerca di questi anni con il lavoro professionale svolto a partire dagli anni Venti, che ci consente di cogliere il solco per lui invalicabile fra momento progettuale teorico e realtà di un intervento concreto. Tale solco verrà aggirato facendo ricorso a un eclettismo che, già rintracciabile nei progetti “urbani” disegnati fra il 1914 e il 1916, diviene esplicito nei temi sviluppati a partire dal 1919 (nel 1919 egli si stabilì a Lugano): la Chiesa di montagna, la Chiesa campestre, la Villa di un patrizio ticinese (premiata quest’ultima nel concorso indetto nel 1919 dalla Società ticinese per la conservazione delle bellezze naturali e artistiche del Canton Ticino), sono esercitazioni in cui gli elementi più marcatamente secessionisti sono in funzione decorativa di un’architettura che tende ad assumere caratteristiche locali, come gli stessi titoli dei progetti suggeriscono.

A partire da questo momento, l’interesse per l’architettura classica e per quella medievale, già rintracciabile nell’uso di assi di simmetria e nelle torri presenti nei progetti degli anni immediatamente precedenti, si fonde con il linguaggio regionalista, condizione necessaria per inserirsi nella professione. Il mercato coperto costruito nel 1945 a Mendrisio, nel Canton Ticino, impiegando materiali locali, pietre, mattoni, tegole, rappresenta l’esasperazione di tale scelta.

Gli ultimi progetti del C., quali la cappella Bernasconi a Lugano, del 1955, e il colombario costruito a Giubiasco, sempre nel Canton Ticino, del 1957, sembrano segnare un deciso ritorno al classicismo, a quell’immagine statica ricorrente nel suo lavoro.

Se confrontiamo il colombario con i due progetti per un Tempio dei caduti per la patria, del 1918, possiamo cogliere il senso dell’esperienza del C.: sulla base dell’architettura elaborata dalla Wagnerschule egli iniziò una ricerca per un’architettura “positiva, realizzabile”, per “visioni libere e nuove”, come egli stesso ricorderà nella citata intervista del 1957, che lo avrebbe condotto, e lo dimostrano i due progetti per il Tempio dei caduti, all’eclettismo, inteso come condizione necessaria per “la ricerca di uno stile moderno” (Arata, 1919). Un eclettismo che divenne anche, per il C., possibilità di liberarsi del pesante fardello della passata collaborazione con Sant’Elia e di inserirsi nella realtà della professione, recuperando solo molto tardi, appunto nel classicismo decantato dell’edificio di Giubiasco, il senso di un ritorno all’ordine, che le avanguardie artistiche avevano già proposto nell’immediato primo dopoguerra quale necessità di ricomposizione di una realtà frantumata. Un recupero che il C. attuò interamente a livello personale.

Il C. morì a Lugano il 21 ag. 1957.

Rimangono del C. solo i disegni per trentacinque progetti eseguiti fra il 1914 e il 1918 e quattro bozzetti di scena del 1921, per la rappresentazione indicata come “Die Strasse und der Garten, poema sinfonico M.tro Lichtmann” oggi nel Museo teatrale alla Scala (v. catal., III, Milano 1975, n. 2176, tav. 954).

Il resto della produzione di quegli anni è andato distrutto nel bombardamento del suo studio milanese nel 1943. I disegni sono conservati presso la sezione disegno di architettura dell’Istituto di storia dell’arte dell’università di Pisa; un elenco di tali disegni è riportato nel catalogo della mostra tenuta a Pisa nel 1965. Inoltre nel Museo Caccia di Lugano si conservano alcuni suoi dipinti.

Altre opere del C., tutte costruite nel Canton Ticino, sono una casa di campagna a Condra, del 1934; il padiglione d’esposizione a Giubiasco, del 1947-49; il palazzo della Banca di Stato a Bellinzona; le scuole di Breganzona; la villa Beretta-Piccoli a Viganella; le ville Martignoni e Vicari-Gilardi a Lugano; le tombe Greco e Bossi a Lugano; e il progetto non realizzato di un monumento commemorativo a Berna, tutte eseguite in questo dopoguerra.

Chiattone Mario



(Spanish)
Bergamo 1891 – Lugano 1957, fue un arquitecto y urbanista suizo perteneciente al futurismo.

Estudia en la Accademia di Brera y en la Scuola d’Arte Applicata e del Libro, ambas en Milán, donde se afinca hasta 1915 y conoce a los futuristas.

Participó en la exposición del grupo Nuove Tendenze con tres proyectos, uno de los cuales estaba dedicado a la ciudad futura. Escribe dos libros: Architettura futurista (1919) e Italia nuova architettura (1931).