Goncharova Natalja

Goncharova Natalja

Natalja Goncharova Natalja Sergeevna Goncharova nasce il 4 luglio 1881 in un piccolo villaggio della provincia di Tula, a sud-est di Mosca, da un’antica e nobile famiglia, un’origine, la sua, che la distingue dagli altri membri del movimento d’avanguardia russo, solitamente di origine contadina o figli di piccoli commercianti. Nel 1898 si iscrive al Collegio di pittura, scultura e architettura di Mosca, dove conosce Michail Larionov, da questo momento suo inseparabile compagno di vita e d’arte. Ciò che rende quest’artista una figura fondamentale nella storia dell’arte russa dei primi decenni del secolo è innanzitutto la sintesi da lei realizzata tra le tendenze europee contemporanee più vitali e progressiste e la tradizione popolare russa. Dedicatasi allo studio e al recupero di questa tradizione, infatti, verso il 1907-08 promuove con Larionov il “primitivismo”, insieme di licenze fauves, espressioniste e di “semplicità” dell’arte popolare. Sono questi gli anni in cui l’artista si dedica alla sperimentazione incessante di tutte le forme d’arte presenti e passate, giungendo, tra il 1906 e il 1912, a una sintesi cubista, neoprimitivista e futurista.

Nel 1915 Goncharova e Larionov lasciano la Russia per unirsi alla compagnia di Sergej Djagilev, dando inizio a un lungo e proficuo sodalizio che vede la coppia in qualità di costumisti e scenografi dei Balletti Russi. A partire dal 1916 i due artisti si stabiliscono definitivamente a Parigi, dove si sposano nel 1955 all’età di 74 anni. Natalja non tornerà mai più in patria e morirà nella capitale francese il 17 ottobre del 1962.

Più di una volta i critici contemporanei hanno accusato Natalja Goncharova di essere priva di originalità e incapace di una ricerca personale. In una recensione alla prima e unica retrospettiva moscovita delle opere dell’artista, inauguratasi il 30 settembre 1913, Jakov Tugendchol’d scrive: “Ha del talento, non vi è alcun dubbio per chi se ne intende. Ma ogni settimana sembra fluttuare a seconda dei capricci della moda, passando da un ‘ismo’ all’altro dipingendo lo stesso pavone in dieci stili diversi. In lei la diversificazione dello stile nuoce all’approfondimento ma dov’è la vera Goncharova, dov’è il suo Io artistico?”. In effetti, in Possibilità artistiche a proposito di un pavone, del 1911, l’artista aveva trattato lo stesso soggetto secondo una serie di stili differenti che andavano da quello egizio, futurista, cubista, cinese, allo stile dei ricami russi, dei lubok e così via.

Nel suo articolo “I fauves in Russia”, pubblicato nel 1912 sull’Almanacco del Blaue Reiter, David Burljuk scriveva: “La legge che gli artisti hanno scoperto non è altro, in definitiva, che una tradizione rimessa in piedi, la cui remota e prima origine risale alle opere dell’arte ‘barbarica’ degli egizi, degli assiri, degli sciiti e così via”. Il pavone della Goncharova in stile egiziano mostra appunto, nei suoi colori, un elemento di contatto con la pittura dei fauves, ma anche con le miniature iraniane, le stampe popolari, i ricami e i lubok russi. I colori puri, smaltati della tradizione popolare dell’icona fanno di questo pavone una sorta di manifesto poetico dell’artista, che nell’introduzione alla sua personale dichiara: “Il mio cammino tende verso la fonte originaria di tutte le arti, verso l’Oriente”.

In una dichiarazione alla stampa, pubblicata in occasione del primo Congresso panrusso degli artisti svoltosi a San Pietroburgo nel 1911, l’artista sottolinea la necessità di preservare con ogni mezzo l’antica arte russa. L’attuale generazione di artisti, pur accogliendo favorevolmente le influenze dell’arte straniera contemporanea, soprattutto di quella francese, è giunta, secondo lei, a un momento cruciale del suo sviluppo, dove la tendenza all’apertura verso ciò che viene elaborato altrove deve essere compensata da un ritorno alle origini: alla pittura antica e alla tradizione russa dell’arte popolare. Nella Venditrice di pane troviamo affiancate in modo del tutto personale tendenze artistiche molto diverse: il fauvisme francese per l’intensità e la vivacità dei colori, l’espressionismo tedesco per il trattamento formale e il tono di denuncia sociale (in ogni caso estremamente velato nell’artista russa) e la pittura di insegne, alquanto apprezzata dal gruppo vicino a Larionov che la scopre e se ne lascia ispirare sin dal 1907. La venditrice dipinta dalla Goncharova , con le sue mani sproporzionate e il volto intagliato nel legno, offre i suoi pani alla vista dell’osservatore seguendo il principio della “presentazione” così come veniva interpretato dai pittori d’insegne, ovvero con l’intento di offrire un’immagine “attraente” e di forte impatto visivo, sia attraverso un’estrema semplificazione della forma, sia attraverso il dispiegamento in primo piano di forme enfatizzate anche cromaticamente.

L’inizio del secondo decennio del Novecento segna il periodo di fioritura del neoprimitivismo nell’arte russa. In realtà, lo studio, l’assimilazione e l’interpretazione delle tradizioni primitive erano già cominciati nella metà del decennio precedente e alla base di questa tendenza vi era un rinnovato interesse per la storia e la vita del popolo russo che aveva avuto inizio sin dalla seconda metà del XIX secolo. Nell’opera della Goncharova il periodo del neoprimitivismo risale al 1907-11 ed è connesso ai suoi lavori sul tema della vita contadina. Lavandaie, del 1911, testimonia chiaramente l’aspirazione dell’artista all’arte tradizionale e all’opera dei maestri popolari. La Goncharova, infatti, sembra osservare questa scena di vita reale con gli occhi dei contadini stessi: le proporzioni distorte, i movimenti sgraziati, le facce uguali, il colore senza sfumature sono tratti direttamente dall’arte degli intagliatori del legno e dei maestri che dipingevano telai, giocattoli, porte e finestre di case. Forse non è superfluo ricordare che in Russia il legno era un materiale universale e che l’intaglio e la pittura venivano esercitati un po’ dovunque. Se nella ricca collezione d’oggetti d’arte popolare di Natalja è possibile ritrovare splendide icone così come statue in pietra, stampe popolari e giocattoli in argilla e in legno, è l’artista stessa che, a proposito di opere quali Lavandaie, afferma di essere stata ispirata dalle “donne sciite in pietra e dalle bambole russe in legno decorato vendute alle fiere”.

A partire dal luglio del 1915, giorno del loro arrivo a Ginevra, Larionov e Goncharova fanno parte integrante della compagnia dei Balletti Russi di Sergej Djagilev. È proprio al seguito della compagnia che, nell’estate del 1916, la coppia di artisti soggiorna a San Sebastián: nessun paese, fra quelli visitati durante la loro esistenza di esiliati, influenzerà così tanto Natalja quanto la Spagna. Il tema della donna spagnola, infatti, verrà instancabilmente ripetuto dall’artista, in ogni possibile forma e variante, durante il lungo soggiorno in Francia a partire dal 1917. Le opere qui riprodotte fanno parte di un polittico monumentale composto di cinque pezzi ed esposto per la prima volta nell’ambito di un’esposizione internazionale tenutasi a Dresda nel 1926.

Se nella frantumazione della forma è possibile intravedere un’eco della pittura cubista, nella posizione rigida e rigorosamente frontale della figura è possibile riscontrare, ancora una volta, il richiamo alla tradizione popolare russa e, in particolare, all’arte delle antiche icone. Proprio come le immagini sacre della religione ortodossa, anche queste figure sono riconoscibili per i loro attributi (pettini, ventagli); esse sono avvolte in ampi scialli, mantiglie di pizzo e stoffe fiorate, dalle quali emergono solo il viso e le braccia estremamente stilizzati. È nei toni che l’artista dimostra di aver rielaborato il modello: al posto dei gialli, dei blu e dei rossi smaltati delle sacre icone, prevale qui un uso quasi esclusivo di bianchi, grigi, marroni e gialli, che conferisce all’immagine un alto grado di sobrietà.



(English)
Negaievo, 1881-Paris, 1962. Natalia Goncharova was notable for her leadership of the Russian avant-garde before the Soviet Revolution and for her intense collaboration in the staging of the ballets of her compatriot Serge Diaghilev. Born into a family belonging to the rural gentry and the great-granddaughter of Alexander Pushkin, she was raised on a farm in the province of Tula and enrolled at the Moscow School of Painting, Sculpture and Architecture in 1898. There she met Mikhail Larionov, who would be her companion in both art and life until the end of her days.

Goncharova became acquainted with French Post-Impressionist art through The Golden Fleece exhibition of 1908, which had a decisive influence on some of her works that depicted predominantly Russian rural themes. She was a founding member of the Jack of Diamonds group in 1910. Two years later she and Larionov left the group to start The Donkey’s Tail, and she played the main role in the exhibition by that name. At this point some of her works continued to be connected directly with the world of icons and Russian folk art, whereas others were beginning to clearly display the influence of Cubism and Futurism. She subsequently evolved to Rayonism, a style in which she produced a series of forests in 1913. Her oeuvre was well received by critics and public alike, although her lifestyle — a far cry from social conventionalisms — was always surrounded by a certain amount of controversy.

In 1914 Goncharova was involved in the production of Diaghilev’s Le Coq d’or, the first of a whole series of collaborations that led her to become known in France and the West chiefly as a set designer. She travelled with Diaghilev and Larionov to Switzerland, Italy and Spain, and when they settled in Paris their joint work continued to be highly fruitful. Diaghilev’s death in 1929 marked a certain decline in her creativity.

Goncharova and Larionov married in 1955. A few months before she died in 1962, the London Arts Council organised a retrospective exhibition of the work of both artists, acknowledging their importance on the twentiethcentury Russian and European art scene.