Lega Achille

Lega Achille

Nacque a Brisighella, in Romagna, il 21 apr. 1899, primo dei tre figli di Giovanni Battista, romagnolo di antica e nobile casata, e di Giuseppina Baldi Papini, proveniente da un’aristocratica famiglia pistoiese. All’età di dieci anni si trasferì con i genitori a Firenze, città in cui trascorse il resto della vita e in cui maturò la vocazione artistica. Apprese i primi rudimenti pittorici ancora adolescente, presso lo studio del postmacchiaiolo L. Tommasi. Tale breve esperienza lo indusse, nel 1914, ad abbandonare la carriera scolastica e a iscriversi all’Accademia di belle arti e alla Scuola libera d’incisione all’acquaforte diretta da C. Celestini. Tuttavia, insofferente verso i metodi d’insegnamento tradizionali fu, con P. Conti e C. Pavolini, suoi colleghi e amici, tra gli spiriti più dissidenti. Al termine del secondo anno lasciò, così, gli studi accademici per iniziare a dipingere autonomamente. Il primo lavoro noto del L. è un’acquaforte che ritrae il Molo di Livorno, eseguita dal vero con L. Tommasi nel 1914.

Ritrovata fortunosamente dopo la sua morte in casa dell’amico E. Bettarini al quale l’aveva donata, l’opera è nota in un solo esemplare, probabilmente l’unico, e reca la data e la firma dell’autore. Il L. affiancò sempre l’attività d’incisore a quella di pittore, acquisendo via via maggiore abilità e partecipando a esposizioni di grande prestigio. La tecnica a lui più congeniale fu l’acquaforte, appresa con L. Tommasi e perfezionata alla scuola di C. Celestini il cui stile, caratterizzato dall’incisività della linea e da forti ombre, influenzò le sue prime esecuzioni. Il L. non si limitò, tuttavia, a emulare il maestro, ma concepì un caratteristico modo di incidere che lo rese inconfondibile: per ottenere una fusione di tono generale ricorse al frazionamento del segno che, da linea continua, diviene un susseguirsi di piccole virgole, punti e tratti. Tra le opere degne di nota ricordiamo Castello di Vinci del 1917 (acquaforte; Raccolta stampe A. Bertarelli, Civiche Raccolte d’arte del Castello Sforzesco di Milano) e Colline toscane del 1929 (acquaforte, Collezione Timpanaro, Gabinetto disegni e stampe dell’Università di Pisa). Tra il 1914 e il 1915, durante un soggiorno a Pistoia, ricevette i primi rudimenti della xilografia dal pittore A. Caligiani.

L’incisione su legno, tuttavia, a differenza dell’acquaforte, fu praticata dall’artista per un breve arco di tempo e con risultati meno interessanti. Le prove di xilografia rintracciate sono nella maggioranza dei casi esemplari unici sfuggiti per caso alla distruzione e mostrano una lavorazione semplice e una stampa piuttosto scadente, spesso dovuta alla qualità del legno non levigato e mai squadrato. Dopo il 1916, anno fecondo di xilografie, ci sarà solo una fugace ripresa di tale tecnica nel 1919 quando, sollecitato da C. Pavolini, il L. realizzò tre piccoli lavori lignei per la rivista Il Centone fondata da quest’ultimo insieme con P. Conti.

Nel luglio del 1915 fu invitato per la prima volta a esporre a una mostra collettiva organizzata a Pistoia dall’Accademia degli Armonici, dove presentò sia dipinti sia incisioni (A. L.…, 1980, p. 24). Tale circostanza consente di assegnare i primi lavori pittorici almeno al 1914 nonostante il L. abbia postdatato al 1916 gran parte della produzione giovanile. Al 1914 vanno fatti risalire gli oli su cartone Ponte sospeso alle cascine, Stabilimento Niccolini, Donna che si pettina e Contadina sull’aia (tutti in collezioni private e riprodotti in A. L. …, 1987). In tali opere si rileva il passaggio dalla rigida osservanza ai modi ordinati e pacati di L. Tommasi a una pennellata più libera e sciolta.

Il L. gettò le basi della sua futura costruzione pittorica, impiegando elementi che rimarranno invariati nell’intero arco della sua attività: l’interesse per i temi del lavoro contadino e artigiano e per il mondo popolare, l’estrema semplificazione formale, la grande potenza espressiva. A scomparire sarà invece, nel volgere di pochi anni, la figura umana qui ancora presente, per lasciare il posto al paesaggio, assoluto protagonista della produzione successiva.

In quegli anni prese parte agli accesi dibattiti di giovani artisti e intellettuali che animavano il caffè fiorentino delle Giubbe rosse. Nel corso di tali riunioni ebbe modo di stringere forti legami d’amicizia come quello, durato tutta la vita, con O. Rosai e di incontrare personalità di spicco quali A. Soffici, F.T. Marinetti, U. Boccioni e C. Carrà, che su di lui esercitarono un determinante influsso.

Tra il 1916 e il 1919 si colloca la parentesi futurista del L., vissuta come una spinta vitalistica in opposizione all’accademismo degli ambienti ufficiali. Punto di riferimento costante in questi tre anni di sperimentazioni fu Soffici, colui che diede il primo impulso al futurismo fiorentino, nato in risposta al movimento milanese capeggiato da Marinetti. Il L., come Soffici, non si spinse mai oltre il figurativo e mantenne uno stile solenne e pacato in contrapposizione al dinamismo dei colleghi milanesi. Nelle opere realizzate in questo periodo gli elementi reali rimangono ben decifrabili e, sebbene la forma venga in parte liberata dallo schema naturalistico, l’intervento di scomposizione si limita ad accentuare le curvature che il vero suggerisce e a movimentare la composizione. Il futurismo rappresentò per il L. soprattutto un’amplificazione della gamma cromatica; in alcuni dipinti, come Periferia (tempera su cartone, 1916; Bergamo, collezione privata; A. L.…, 1987, fig. 5) e Case coloniche (olio su cartone, 1917; Milano, collezione privata; ibid., fig. 7) la visione si accende di colori squillanti, quasi irreali, sintomo di una nuova esigenza stilistica. Vibrazioni atmosferiche di un aeroplano in volo (olio su cartone, 1917; Firenze, collezione privata; ibid., fig. 24) è forse l’opera più significativa del periodo futurista.

Il dipinto è stato considerato dalla critica il primo esempio di “aeropittura”. A segnalarlo fu A. Manca in una lettera a Marinetti intitolata Chi è il padre dell’aeropittura? (pubbl. in Corriere padano, 18 ag. 1934), in cui indicava nel L. un antesignano di tale genere pittorico. L’opera non fu mai esposta prima della morte dell’artista e fu presentata per la prima volta al pubblico nel 1934, in occasione della retrospettiva allestita presso la galleria dell’Accademia di belle arti di Firenze (A. L.…, 1977, p. 45).

Nel 1918 venne chiamato per il servizio di leva a Carrara come semplice soldato di fanteria, evento che lo distolse per circa un anno dall’attività pittorica. A Firenze fu tra i primissimi sostenitori del fascismo con E. Rocca, E. Settimelli, Martinetti e Rosai con i quali, nel 1918, diede vita al fascio della Nuova Italia, un piccolo gruppo d’intellettuali che appoggiò tenacemente l’operato di Mussolini e che trovò sfogo nelle colonne dell’Assalto diretto da M. Manni. Ottenuto il congedo ad Antignano nel 1919 il L. tornò a dipingere; la prima esperienza rilevante fu la collaborazione con Il Centone, in cui il L. diede il proprio contributo nell’impaginazione e nella correzione delle bozze e nel numero dedicato a C. Pavolini del 1919 in cui pubblicò alcune xilografie.

Nello stesso anno partecipò alla grande Esposizione nazionale futurista organizzata da Marinetti presso la Galleria centrale d’arte di palazzo Cova a Milano, la prima di una lunga serie di mostre organizzate dal gruppo in cui anche dopo la sua morte le sue opere furono sempre presenti.

Il 15 nov. 1922 si tenne la prima mostra personale del L. nei locali della libreria Gonnelli di via Ricasoli a Firenze.

In tale sede furono presentati 42 dipinti e 47 tra disegni e appunti acquerellati, suscitando un generale consenso di critica e pubblico. Per l’evento Soffici scrisse la prefazione al catalogo lodando le capacità poetiche, costruttive e tecniche del pittore.

Tra il 1926 e il 1933 collaborò con il bisettimanale fiorentino Il Selvaggio, uno dei principali strumenti di diffusione delle idee pittoriche più avanzate del tempo.

M. Maccari, direttore della rivista dal 1924 al 1943, commissionò disegni, acqueforti e xilografie a giovani artisti di talento come Rosai, G. Morandi, Carrà e R. Guttuso, allo scopo di mostrare i risultati formali e le possibilità tecniche cui era giunta la pratica dell’incisione fino ad allora trascurata in favore della pittura. Il L., con le sue opere affidate alla pura linea di contorno, fu tra i talenti più apprezzati e più vicini al lirismo ricercato dal periodico. Per il foglio di M. Maccari il L. collaborò anche come scrittore, firmando articoli in cui con facilità d’espressione e chiarezza discorsiva esaltò la pittura di Soffici, G. De Chirico, Carrà e Morandi, che sentì profondamente vicina a sé, mentre bersaglio polemico costante fu la critica ufficiale del tempo (A. L.…, 1977, pp. 38-41).

Fra le prove migliori del L. di questi anni si ricordano Sull’Arno (olio su tela, 1928; Milano, Museo del Castello Sforzesco), Il botro (olio su tela, 1930; Roma, Galleria nazionale d’arte moderna) e Vecchie mura (olio su tela, 1932; Firenze, Galleria d’arte moderna).

Per due volte, nel 1926 e nel 1929, il L. espose i suoi lavori al palazzo della Permanente di Milano con il gruppo Novecento; a partire dal 1926 il L. aveva aderito infatti alle iniziative promosse dal gruppo, costituitosi a Milano nel 1922 intorno a personalità d’eccezione quali M. Sironi, A. Funi ed E. Malerba.

Nelle linee guida di questo movimento il L. ritrovò le caratteristiche salienti della sua pittura: la sobrietà, l’amore per i volumi squadrati, la semplificazione formale. Da tale indirizzo stilistico non si allontanò più, dedicandosi negli ultimi sei anni della sua vita alla pittura di paesaggi sempre più aridi, desolati e geometrici. Tra le opere di questo periodo ricordiamo L’Arno a Varlungo (olio su tela, 1932; Torino, collezione privata; A. L.…, 1987, fig. 40), Antiche mura (olio su tela, 1932; Firenze, Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti) e Case solitarie (olio su tela, 1933; Firenze, collezione privata, A. L.…, 1987, fig. 43).

Le sue opere furono presenti alla Biennale di Venezia dal 1928 al 1934; inoltre nel 1931 fu tra i partecipanti della I Quadriennale d’arte nazionale tenutasi al Palazzo delle Esposizioni di Roma.

Nel 1932 ottenne la medaglia e il diploma dal ministero dell’Educazione nazionale all’Esposizione nazionale dell’incisione a Firenze e il premio Rimini alla I Esposizione d’arte romagnola di Rimini; nello stesso anno la R. Accademia d’Italia gli assegnò un premio quale riconoscimento dei suoi meriti artistici.

Morì a Firenze il 28 genn. 1934.

Nel giugno del 1934 si tenne la prima mostra postuma, organizzata nelle sale dell’Istituto di belle arti di Firenze e numerose altre mostre rievocative furono allestite negli anni successivi (per un elenco cfr. i contributi di Bartolini e De Rosa). Dal 1965 il paese natale ha dedicato al L. il premio Brisighella del “Trebbo di pittura contemporanea” che si svolge annualmente e, nel 1972, ha posto nella casa natale del L. una lapide che riporta un brano di G. Papini, scritto in occasione del trigesimo della morte.