Nicola_Moscardelli.

Moscardelli Nicola

Nacque a Ofena (L’Aquila) il 9 ottobre 1894 da Serafino e da Elvira Cantera, proprietari terrieri. Compì studi classici a L’Aquila. Ingegno versatile, fu innanzitutto poeta; incoraggiato dalla famiglia pubblicò giovanissimo le prime due raccolte, Le fiamme e La veglia (L’Aquila, 1913), da cui si desumono la passione per la tradizione letteraria italiana e l’attrazione per simbolisti e crepuscolari.

Precocemente consapevole dell’aridità stantia della cultura provinciale, nel 1914 si recò a Firenze che rappresentava da decenni il centro propulsore della cultura italiana e si introdusse con determinazione nei circoli intellettuali all’avanguardia e nelle redazioni di Lacerbae La Voce. Gli stimoli fiorentini e, in particolare, la suggestione del futurismo alimentarono una stagione di audace sperimentalismo tematico e formale che produsse Abbeveratoio (Firenze 1915).

Ben presto aderì all’ideologia interventista e coerentemente combatté sul Carso con i fucilieri di Pinerolo; ferito nell’ottobre 1915, conseguì la medaglia d’argento al valor militare. Riflette tematicamente l’esperienza bellica Tatuaggi (1916), che segna una prima transizione stilistica in direzione della semplificazione del dettato poetico e rappresenta il vero esordio lirico dell’autore a giudizio dei critici.

Nel 1916 si recò a Roma per le terapie necessarie alla ferita al volto riportata in guerra, e, affascinato dalla capitale, di lì a poco vi si stabilì definitivamente. Qui in collaborazione con Giovanni Titta Rosa e Maria D’Arezzo ideò e allestì Le Pagine (1916-17), rivista d’avanguardia di breve vita ma di grande suggestione, anche per la collaborazione di artisti di fama internazionale, come Tristan Tzara. Negli stessi anni solidarizzava o polemizzava con altre riviste di sperimentazione come Avanscoperta, Noi, La Brigata, La Tempra, La Diana.

Grazie alla fase euristica de Le Pagine approdò alla limpida essenzialità di Gioielleria notturna (Milano 1918) e alle prose liriche di La mendica muta (Firenze 1919), entrambe apprezzate dalla critica. A partire dal 1918 e per tutti gli anni a seguire si dedicò all’attività di giornalista e di critico letterario su numerosi giornali e riviste, ponendo le basi per opere saggistiche successive. Le collaborazioni più intense o durature furono con Il Tempo, poi Giornale di Roma, con Il Sereno poi Il Serenissimo, Il Popolo di Roma, L’Italia che scrive.

Nel 1921 sposò Lydia Sacer dalla quale ebbe nel 1923 la figlia Graziella. Negli stessi primi anni Venti si appassionò all’elaborazione di novelle, romanzi e, dopo essere entrato in contatto con Anton Giulio Bragaglia, direttore del Teatro degli Indipendenti, anche di testi teatrali. Tuttavia rimase sempre fondamentalmente poeta. L’ora della rugiada (Lanciano 1924), Le porte di bronzo (Foligno 1926), Le grazie della terra (Lanciano 1928) e Il ponte (Roma 1929) rivelano l’acuirsi della sua riflessione esistenziale e la speculazione filosofico-teologica improntò di misticismo in modo crescente sia le opere creative (Foglie e fiori, antologia da La Veglia, Abbeveratoio, Tatuaggi, Gioielleria notturna, Roma 1937; Canto della vita, Firenze 1939; Dentro la notte, Pesaro, 1950 (postumo) sia gli scritti critici. Dopo aver cercato risposte nell’esperienza esoterica accostandosi a Julius Evola e al Gruppo di Ur e successivamente all’antroposofismo di Rudolf Steiner, approdò a un credo cristiano dagli accenti spiccatamente personali, lontano da specifiche confessioni. Dal 1929 al 1939 ebbe il ruolo di segretario dell’Accademia d’Italia, soffrendo molto delle limitazioni che tale impiego gli sembrava imponesse al lavoro creativo. Nel 1939 fu insignito del secondo premio Sanremo. A seguire si dedicò alla docenza di arte poetica e drammatica presso il Conservatorio di S. Cecilia.

Dopo una lunga malattia, nonstante la quale lavorò fino agli ultimi giorni, morì a Roma il 21 dicembre 1943.