BOT Osvaldo Barbieri

BOT – Osvaldo Barbieri

Nasce a Piacenza il 17 luglio 1895. Segue in modo irregolare i corsi di Francesco Ghittoni all’Istituto d’Arte Gazzola di Piacenza. Quindi a Milano alla Società Umanitaria e poi a Brera, sempre con la medesima discontinua modalità.

Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale si arruola volontario. Nel 1920 si trasferisce a Genova mantenendosi con i primi lavori che trova, dal verniciatore allo scaricatore di porto. Qui in terra ligure, Bot tenta di presentarsi al pubblico per la prima volta aggregandosi a mostre collettive.

Nel 1926, durante un momentaneo ritorno a Piacenza, si innamora di Enrica Pagani, la porta con sé a Genova e la sposa, per poi rientrare definitivamente nella sua città e concentrarsi definitivamente sull’arte.

Nel 1928 conosce il Futurismo attraverso l’opera di Depero, Fillia, Prampolini. L’anno dopo, 1929, incontra Filippo Tommaso Marinetti che benedice il suo lavoro e a lungo lo sosterrà in alcune mostre milanesi e nella produzione editoriale.

Iniziano importanti esposizioni: per quattro volte alla Galleria Pesaro a Milano in occasione delle mostre futuriste; alla Biennale di Venezia nel 1930 e nel 1932; poi a Parigi, Monaco di Baviera, Atene; nel 1932 e 1933 a Roma allo Spazio Bragaglia. Nel 1929 fonda a Piacenza la Centrale del Futurismo, nel 1930 “La Fionda”, una rivista che raccoglie marchi commerciali ridisegnati dall’artista alternandoli a riproduzioni d’arte.

Nel 1934 Italo Balbo, a cui aveva dedicato un’opera intitolata “Aeroritratto di S.E. Balbo”, lo chiama in Libia. In Africa la sua visione dell’arte subisce un ulteriore shock: l’atmosfera primitiva, rude e imbevuta di forme fantastiche e magie, una visione della vita lontanissima da quella occidentale, gli ispirano opere del tutto impreviste. Arriva al punto di crearsi un alter-ego africano, tale Naham Ben Abiladi, con il quale nel 1935 dipingerà e parteciperà a mostre, nascondendo la sua vera identità e spacciandolo per un artista conosciuto in Africa.

In due momenti, 1934 e 1937, dipinge il salone e lo scalone del Municipio di Carpaneto Piacentino con le mitologie dell’Italia Fascista.

Nel 1940 ritorna con molte difficoltà in Italia e, a causa della guerra, si ritira in campagna dove nasce un nuovo artista: torna ai paesaggi, ma paesaggi eterei, fatti di case diroccate, figure e nature morte che creano atmosfere in un certo senso astratte.

Nel dopoguerra conosce Lucio Fontana ad Albisola, si avvicina alla ceramica e addirittura alla poesia. Allestisce mostre e nel 1951 partecipa alla VI Quadriennale di Roma. Muore a Piacenza il 9 novembre 1958 in povertà.

Tra le sue opere si ricordano i libri Fauna futurista e Flora futurista, con illustrazioni.