Marinetti e le donne

Marinetti e le donne

Giorgio Dell’Arti, Sono sempre l’uomo dal coito veloce e violento, 2 marzo 2009


Marinetti conobbe Benedetta – che amerà fino al termine dei suoi giorni – nel 1919, 
a quarantatré anni, e si sposò a quarantasette. Fino a allora la sua vita sentimentale fu un susseguirsi di seduzioni facili e gloriose, come spetta a un creatore fascinoso. L’aspetto gradevole, il suo contegno anticonformista e la fortuna dei suoi averi gli avrebbero permesso di scegliere il meglio. Invece seppe adattarsi, mostrando anche nelle imprese amatorie l’elastica duttilità che il futurismo considerava una delle qualità dinamiche dell’uomo al passo dei tempi. Lontano dalle fantasie dannunziane, ma anche dai sentimentalismi morbosi alla Fogazzaro, Effetì non delineò mai l’immagine di una donna ideale. Frequentò, per effimeri incontri carnali, borghesi annoiate e aristocratiche di tutta Europa desiderose di arricchire il loro carniere con chi proclamava il «disprezzo della donna»: ma non erano le sue predilette. Non risparmiò fanciulle troppo carine per essere oneste, lavoratrici di case d’appuntamento d’alto bordo e di bordelli infimi, eccentriche con aspirazioni artistiche e popolane senza pretese.

Inutile aspettarsi complicati intrecci amorosi: le sue vicende si esauriscono in un erotismo scanzonato, in scattanti novellette in cui l’intelligenza prepara la festa del sesso, attesa dall’uomo e – si badi bene – anche dalla donna. Per questo non conobbe il delirio lirico, la via crucis tormentata dell’innamoramento: anche quando amò sinceramente, come amò Benedetta, lo fece senza le malie e i giuramenti tradizionali, senza il rituale di palpebre socchiuse, promesse sussurrate, inquietudini languide.
Nel loro elogio dei sensi, per i futuristi l’amore significa soprattutto conquista e amplesso. In Mafarka, Marinetti si fa beffe della morale comune affermando che «Possedere una donna non è strofinarsi contro di essa, ma penetrarla» e che «Non vi è di naturale e di importante che il coito il quale ha per scopo il futurismo della specie». Nella raccolta Novelle colle labbra tinte, a una bionda trentenne europea viene suggerito «di attraversare l’oceano in cerca di maschi esotici e di notti d’amore veramente emozionanti», in una favolosa città della Florida, Kuroo, dove i negri sono di una bellezza sorprendente: «Fortissimi, muscolosi, ma agili e senza le esuberanze massicce della loro razza», golosamente desiderosi di donne bianche, specie se bionde e fragili. La «forza esasperata del negro inferocito» darà all’evanescente creatura «l’equilibrio morale, erotico, sentimentale» impossibile da acquisire «in mille flirts cretini o amori pessimisti e stanchi».

I futuristi regalano ai benpensanti anche continui elogi della prostituzione: Ruggero Vasari le dedica una tesi di laurea che gli accademici dell’università di Torino non vogliono neanche discutere; Italo Tavolato ne canta le lodi sulle pagine di «Lacerba» e si ritrova in tribunale; Mario Betuda difende La donna del trivio dalle ipocrisie e dai pregiudizi delle signore perbene: «È una donnaccia da trivio, dicono./ Io vi grido in faccia, oneste che condannate, che l’anima di quella donnaccia /vale l’anime vostre tutte, raccolte in una./ Voi aveste fortuna: ella non ebbe fortuna». La stessa de Saint-Point, autrice del Manifesto della donna futurista, scrisse: «La donna, che colle sue lagrime e il suo sentimentalismo ritiene l’uomo ai suoi piedi, è inferiore alla prostituta che spinge il suo maschio per vanagloria a conservare col revolver in pugno la sua spavalda dominazione sui bassifondi della città. Questa femmina coltiva almeno una energia che potrebbe servire migliori cause». Anche Effetì sostenne, in Come si seducono le donne (libro autobiografico del 1917, ndr), che una puttana può essere più onesta di una donna fedele, e indica l’esempio di una prostituta con «una doppia vita di frenetica sensuale tutta capricci, desiderio di nuovo, passione per l’uomo celebre, capace di abbandonarsi su un divano in un giorno di pioggia ad un uomo desiderante, e capace anche di condurre la sua famiglia e l’educazione dei suoi bambini con una regolarità da officina».

Effetì è conscio del proprio fascino e delle emozioni che sa suscitare, anche prima di diventare celebre. Nessun diaframma stilnovistico lo divideva dalle donne, che ai suoi occhi avevano perduto ogni angelica sacralità per farsi fascio di nervi e di vibrazioni sessuali. Era sicuro che ognuna nascondesse, celato dalle convenzioni, un istinto primordiale all’accoppiamento da risvegliare senza ipocrisie. Perciò bandì il classico e stucchevole armamentario del corteggiamento. Al suo posto, ecco una schermaglia di sensi e parole, allusioni e assalti repentini, dove a prevalere non sono l’eleganza dell’eloquio e la misura del contegno, ma la sorpresa del gesto e l’irruenza senza timidezza. Con le donne ha un’aria sparviera e va dritto al bersaglio, sempre avanzando le fantasie amatorie, più di quelle intellettuali. […] Con il Manifesto, la fama aumenta a dismisura il suo successo anche con donne molto contese.

È esemplare la sua avventura con Isadora Duncan, la celeberrima ballerina americana che Marinetti conobbe a Parigi nel 1909. Quasi coetanea, quell’anno Isadora esordì nella capitale francese e la sua «danza libera» – che finirà per influenzare anche il balletto classico – suscitò reazioni simili allo sconcerto provocato dal Manifesto. L’incontro di reciproca ammirazione fu inevitabile. Colta e affatto conformista anche lei (Isadora era madre senza essere sposata), è rimasto nella storia un loro ultimo dell’anno insieme, forse quello del 1909, forse quello del 1910. «Soli in casa mia: e io ballerò per te tutta la notte» promise invitandolo nell’antico e grandioso studio di Rodin che aveva affittato e «nebbiosamente drappeggiato di altissime tende di velluto perlaceo lilla viola fumo».

Dopo una cena a base di cibi indiani, frutta tropicale e «droghe sospette», passata la mezzanotte arriva come un fantasma meccanizzato un pianista in frac, occhialuto e striminzito, che suona agli ordini, «senza mai aprire bocca né guardarci». Nel caldo torrido che Isadora predilige, «ebbra di champagne cognac whisky», danza seminuda «come un grande oratore parla» o «come un bel fiore nella brezza primaverile». Assillati da mille desideri, «baci carezze amplesso ritorni di fiamma non bastano né a me né a lei». Effetì pretende una danza futurista che è ancora nella sua testa, il relativo manifesto verrà nel 1917 – e suggerisce il tema: trecento lampade elettriche che abbagliano la luna. Isadora esegue: «Dopo un primo viluppo di passi sospirati e gementi la danzatrice mutatasi in motore moltiplica girando a tutta velocità le allucinanti rotondità di cento lampade elettriche in zuffa fra loro per soverchiarsi». Eccitata dalla sua stessa impresa e dall’uomo che gliel’ha suggerita, Isadora gli propone un matrimonio. Marinetti, «benché innamoratissimo», non ci pensa neppure. Ha sedotto una delle donne più desiderate al mondo e ora vuole andare nei giardini di Versailles, a vedere la prima alba dell’anno nuovo. […]

Un’altra donna, affatto comune, entrò e uscì rapidamente dalla sua vita nello stesso periodo. Margaretha Geertruida Zelle era nata in Olanda, quattro mesi prima di Marinetti. Dopo un matrimonio infelice si trasferì a Parigi, all’inizio del Novecento, esibendosi in locali tutt’altro che raffinati, in danze dal sapore orientale e dalla forte carica erotica che la resero presto celebre. Nota in tutta Europa con il nome Mata Hari e sempre in cerca di amicizie altolocate, volle incontrare Effetì, a Milano. Marinetti non lo poteva sapere, ma forse era già una spia che usava, anche, «le sue spiritose caviglie parlanti» per ottenere le confidenze di alti ufficiali francesi, a uso della Germania. Sarà fucilata in Francia all’alba del 15 ottobre
1917.

La ballerina, più seducente che bella, il 17 dicembre 1911 aveva danzato alla Scala – nel quinto atto dell’Armida di Gluck, a favore della Croce Rossa – ottenendo un grande successo. Un critico scrisse: «Abbiamo ammirato la fastosa Principessa indiana Mata Hari, mima e danzatrice ad un tempo, dalle pose classiche e dalle movenze flessuose, nelle seduzioni del piacere». Marinetti era in Libia. Si trovava invece a Milano quando la donna tornò per interpretare Venere in un balletto. Uomo di mondo, sospettò subito che non fosse indiana e non intese sedurla, però la invitò a esibirsi, in privato, anche per gli amici futuristi. […]

Mata Hari si presentò in corso Venezia senza il corredo dei sette veli necessario per eseguire la «Danza del Fiore», e risolse il problema con la massima semplicità: «Danza nuda lieta di essere valutata da questi futuristi straricchi di forza creatrice». Si offre senza musica, sui tappeti che abbondano in tutta la casa: «È un tattilismo di carne seta velluto cespugli solitudini tane felini sofficità asprigne che i fili di luce delle lampade di moschea palpano subdolamente vantando la delicatezza ideale dei polpacci e l’amoroso scivolo delle cosce».
Per il Marinetti di Come si seducono le donne, il primo aspetto femminile da mettere in rilievo è la ferinità, «una specie di volontà- istinto che tutte le belve hanno». Esalta anche il difetto fisico, perché «ogni donna ne ha uno»: «Sento ribellarsi», racconta Marinetti «una giovane ventenne dai ricchi capelli, dai piccoli seni tondi, che mi grida “io non ho difetti”. Avete quello – rispondo io – d’essere perfetta; voi dovete per non nauseare rapidamente il maschio far dimenticare l’ammirazione assolutamente antisessuale e antierotica che l’equilibro delle vostre forme suscita. A venti, a trenta, a quaranta anni l’uomo prova sempre davanti alla bellezza perfetta di una donna, il tedio che dà il museo».
 
È la varietà l’elemento che caratterizza il mondo femminile, e ogni caso è «speciale». Come non tener conto, per esempio, dell’ambiente in cui si svolge una schermaglia d’amore? «Una donna si dà a Milano con reticenze, mezzetinte, parentesi e sospensioni e si spalancherebbe invece brutalmente e generosamente, nervi, spirito, corpo allo stesso uomo se si trovasse a Roma». Oppure: «Una signora parigina del Faubourg Saint- Honoré, che pur non essendo maniaca avrebbe preferito suicidarsi piuttosto che coricarsi in un letto inelegante, fu da me naturalmente sdraiata in più di cinquanta letti assolutamente fetidi in più di cinquanta alberghi ultrafetidi del Quartiere Latino».
Sta alle capacità dell’uomo saper sfruttare l’attitudine femminile a distrarsi, per amore, da qualsiasi convinzione e convenzione. Non tutti gli uomini hanno questo istinto, specie al di fuori dell’Italia, dove si crede «nella continuità e nella solidità spirituale della donna», ignorandola «come essere tipicamente istintivo, elementare, atmosferico, barometrico». Le femmine sono volubili e come tali vanno trattate: «Una donna lussuriosa ha bisogno di tanto in tanto di essere presa per un filosofo tedesco».

Peraltro, se per capirle non esistono leggi universalmente valide, Marinetti ne applica una all’indole femminile: il «bisogno indistruttibile di tradimento», la necessità di tradire il maschio anche se «adorato», in quanto «costruttore della gabbiasocietà». Questa propensione, beninteso, non rappresenta un difetto: al contrario, la donna tradisce in quanto è «la parte migliore dell’umanità», quella più elastica, più malleabile, più spiritosa, più sensibile, meno programmatica, più improvvisatrice, la parte insomma meno tedesca». Invece «un uomo seducente, forte, libero, bello e geniale ha sempre qualche cosa di professionale e di teutonico, davanti alle improvvisazioni di sentimenti e di sensualità che costituiscono una bella donna».

La femmina è portata alla «varietà», se no imbruttirebbe «anzi tempo», finendo per distruggere la propria «potenza magnetica sessuale». A questo destino va fatalmente incontro chi si avvilisce nella convivenza, «sempre nociva poiché distrugge quel bisogno di pericolo, di agguato, di lotta o d’incertezza che è favorevole al maschio specialmente e anche alla femmina». Il raffinamento della civiltà, mentre da una parte ha reso impossibile per un uomo l’amare una donna puramente istintiva, naturale, senza pudore, che si dà a molti, ha reso d’altra parte impossibile l’amare una donna che si sveste regolarmente ogni sera per lui soltanto.

Un retaggio della vecchia anima che alberga nell’identità italiana è la gelosia: «Bisogna distruggere questa ossessione: la donna unica l’uomo unico. Accelerare i rapporti sessuali. Moltiplicare gli amplessi intensificati, riassunti e concentrati in poche ore variopinte e spasmodiche. Guai all’italiano che diluisce il suo cuore e monotonizza il suo sesso. Fedeltà: malinconia, abitudine. Gelosia: mania di vecchio sedentario che non può sedersi che in una poltrona sola»; è una «lugubre, atroce e schifosa malattia passatista», «disgraziatamente una specialità italiana». Ma anche la «conseguenza naturale della nostra meravigliosa sensualità e della nostra smodata forza affettiva». […]

Sia pure tenendo conto delle diversità individuali, un uomo deve conoscere le modalità più efficaci per conquistare una donna. In primo luogo non si faccia scrupoli a dedicarle un «elogio sfacciato, senza mezzi termini, del corpo e della sua eleganza»: insista «come un critico passatista insisterebbe su un Canto di Dante». Ne esalti, poi, lo spirito e l’«intelligenza profonda, specialmente se è un’oca perfetta». Nel frattempo – se ci sono le condizioni, se la luce e il divano sono favorevoli – inizi a raccontare vecchie imprese amatorie, facendo entrare le mani «sapientemente in azione»: «Saranno anzitutto mani distratte leggere, come distaccate dal corpo, mani che si divertono alla piega delle stoffe alla mollezza dei velluti e si avanzano lungo i fianchi della donna». E qui, l’ars amandi marinettiana presenta un ventaglio di alternative a seconda della reazione.

Se la donna mostra turbamento, è bene tentare una carezza «sulla curva dei seni» o in anfratti ancora più segreti, facendo finta di niente, quasi con distrazione, prima di avvicinare la bocca alla sua, sussurrandole che «lei sola è degna di tutto l’amore». La voce dovrà essere flebile, appena pronunciata sul collo, in modo che lei «possa guardare nel vuoto, in una bella posa di statua sepolcrale». Poi, senza più incertezze, ma ancora con cautela, via con i baci, «vicino all’orecchio, meglio ancora nell’orecchio». Se l’approccio non ha sortito buoni effetti, meglio fermarsi subito, ricominciare la conversazione per poi riprendere «un tentativo di carezza ai seni», stavolta «più inquieti e più accesi di prima». La nuova tattica sarà quasi sicuramente premiata e si sentirà la donna mormorare: «tutti uguali, voialtri uomini! … volete sempre la stessa cosa, il corpo, null’altro che il corpo! … ». Sarà il prodromo del trionfo. Se le resistenze continuano, allora bisognerà «prenderle energicamente, con mani delicate e forti, il capo, rovesciarglielo all’indietro e imporre alla sua bocca un bacio autoritario, prolungato, profondo, che le tolga un poco il respiro». A quel punto, «se il divano è propizio, la donna è vostra».

Per portare a termine il corteggiamento vittorioso occorre che l’uomo disponga «di certe forze»: «Una bella bocca attraente, degli occhi mutevoli ed espressivi, voce insinuante, corpo abbastanza snello, muscoli, ma non troppi». Chi è calvo, non si dia per vinto (Marinetti ne sa qualcosa): la calvizie è «una qualità quando la fronte brilla d’ingegno». Un altro elemento da non trascurare è l’ambiente: «molti subiscono degli scacchi in simili battaglie per ignoranza topografica: non si dà un assalto nelle ore del mattino o in una stanza troppo bianca».
Il manuale d’amore marinettiano non può prescindere dall’esaltazione della velocità. L’automobile è un afrodisiaco irresistibile: il vento, la luce, i paesaggi cangianti, la corsa rombante consigliano alla donna di godere in tutti i sensi. Anche il treno aiuta, e non poco: una fanciulla bolognese, conosciuta alla Gare de Lyon di Parigi, finirà per apprezzare, insieme all’amante futurista, «il ritmo furibondo della locomotiva», lo scompartimento chiuso alle intrusioni del controllore. […]

Ogni donna presenta complicazioni diverse: fissazioni, manie, ubbie irrazionali e bizzarrie di ogni tipo. Per cominciare Marinetti racconta le sue avventure con amanti tedesche. Solo tre: «una amburghese giovane e fresca ma pedante e cretina come un saggio critico di Benedetto Croce», «la moglie di un editore di Lipsia, assolutamente insipida», e un’indimenticabile signora di Berlino, «giunonica, imperiale». La conobbe nel 1913 a Palermo, estasiata dallo spettacolo marinettiano Elettricità. L’intraprendente signora gli dette appuntamento nella sua camera d’albergo e Effetì, all’una di notte, entrò al buio e si adagiò con lei «sulla pietra nuda». Un’ora dopo, accesa la luce, la trovò avvolta in una bandiera germanica: «Fui sempre antitriplicista: però mi piacque una seconda volta marciare su Berlino».

Dopo le tedesche c’è una «giovane attrice ebrea, d’origine algerina, bruna, selvaggia, furba e scivolante, ambiziosissima, calcolatrice. Grandi occhi enormi di liquirizia, bella bocca da negra, un’araba insomma frenetizzata da Parigi». Ogni volta, concluso l’amplesso, pretendeva dall’amante la solita lusinga: «Dimmi che sono belli i miei piccoli seni! Dimmi che sono belli!». Effetì, una notte, si alza e se ne va senza dire niente, per non tornare mai più.
Gli sembra una complicazione ancora più noiosa quella imposta da una signorina di Saint Cloud: «mentre si abbandonava alle più violente carezze, incominciava talvolta uno strano fantastico dialogo, con la punta inturgidita e accesa del suo seno destro che fissava con degli sguardi magnetizzati». «Guardalo il mio seno come ingrossa la sua punta, l’animale!» ansimava nel bel mezzo dell’amore. Il gioco andò bene un paio di notti, poi Marinetti tagliò la corda, a costo di essere «giudicato un uomo troppo semplice e brutale in amore, che non comprendeva le complicazioni». […]

Come si seducono le donne può apparire (ma non è) una fantasia romanzata. Lo stile del Marinetti seduttore è confermato anche nei suoi Taccuini 1915-1921, non destinati alla pubblicazione e usciti soltanto nel 1987. Vi abbondano episodi che confermano le teorie: «Non posso vivere più di un giorno senza una donna! Sono sempre l’uomo dal coito veloce violento. Poi il sonno e il distacco» (19 aprile 1917).

Giorgio Dell’Arti, Sono sempre l’uomo dal coito veloce e violento, 2 marzo 2009
Ref.: Giordano Bruno Guerri Da Filippo Tommaso Marinetti. Invenzioni; Avventure e Passioni di un rivoluzionario – Mondadori 2009