Fillia – Colombo Luigi

Colombo, Luigi. – Noto con lo pseudonimo di Fillia (dal cognome della madre), nacque il 4 ott. 1904 a Revello (Cuneo) da Domenico e da Maria Fillia. Eccettuati alcuni soggiorni a Parigi, svolse tutta la sua attività di pittore, poeta, critico ed animatore del movimento futurista a Torino.
A Torino, il C. frequentò il liceo classico, e comincio già giovanissimo a scrivere e a dipingere da autodidatta. Nel 1922 espose per la prima volta nel Garden Salon a Torino, insieme con T. A. Bracci; nello stesso anno pubblicò alcune poesie in un volume collettivo dal titolo 1 + 1 + 1 = 1. Dinamite – Versi liberi (Torino, Ist. di cultura proletaria).

Insieme con lo stesso Bracci e con U. Pozzo fondò il Movimento futurista torinese, e nel 1923 i Sindacati artistici futuristi. In occasione della fondazione dei Sindacati apparve nella rivista Noi (redattore Enrico Prampolini) un manifesto indirizzato ai “lavoratori” e agli “artisti futuristi”. In questo manifesto gli elementi ideologici comuni al primo fascismo e al futurismo, caratterizzati ancora da influenze del sindacalismo rivoluzionario, vengono applicati rigorosamente al concetto futurista della “vita meccanica”. Nel 1924 il C. pubblicò insieme con il Bracci il numero unico intitolato Futurismo (in seguito i Sindacati artistici pubblicheranno tutti i testi del Colombo). Marinetti incluse alcuni suoi brani nella sua antologia intitolata I nuovi poeti futuristi, Roma 1925. Fino al 1928 circa il C. si dedicò molto attivamente alla letteratura, pubblicando liriche, “parole in libertà”, romanzi e lavori teatrali.

Dopo il 1960, in seguito.al rinnovato interesse critico per il futurismo alcuni testi del C. sono stati ristampati tra l’altro da Mario Verdone (1973) e da Sanguineti (1969).

Nel 1927 pubblicò a Torino la rivista Vetrina futurista, per uno scambio di idee con l’avanguardia internazionale. Poesia e pittura appaiono strettamente connesse negli anni fino al 1928 e hanno spesso in comune i simboli e i motivi figurativi fondamentali, imperniati sulla nuova “sensibilità meccanica” che deve proseguire “la ricostruzione futurista dell’universo” iniziata dal primo futurismo. Pittura e poesia sono alla ricerca, per dirla con il Crispolti (1962, p. 124), di una “formulazione figurale, spirituale e sacra del nuovo “idolo meccanico” nell’ambito dell’estetica meccanica dominant e il primo tempo problematico della seconda generazione futurista”. I dipinti di questo periodo – il primo esempio noto è Autoritratto del 1924 circa (Torino, coll. priv.) – hanno sviluppato quelle caratteristiche che resteranno determinanti fino al 1928: la scomposizione geometrizzante in piani, il ricorso prevalente a colori puri suffragato da una teoria dell'”analogismo psicologico dei colori puri” (formulata nell’Alfabeto spirituale, in Sale futuriste [catal.], Torino 1925), e la ricerca di forme figurative rappresentative della “vita meccanica”. Esemplare per questo periodo è il ciclo di quadri Idolimeccanici (1925-26), con titoli come Macchina del freddo, Turbina (Roma, Gall. naz. d’arte moderna), Caldaia.

Le radici culturali di questa pittura, che possono essere inserite nel contesto del purismo europeo postcubista, si possono ricondurre in Italia a Balla e a Prampolini, ma occasionalmente anche al decorativismo rigoroso di Depero. Questa geometrizzazione, e soprattutto il tentativo di far entrare il mondo industriale nell’arte con la semplice introduzione di motivi figurativi “industriali”, lasciando tale e quale il tradizionale processo artistico – la qual cosa vale per tutti i futuristi -, conferisce alle opere del C. del primo periodo una certa ingenuità che in seguito con la crescente maturità formale passa in seconda linea. Opere come Elementi geometrici del 1927 (dispersa), Plasticità di oggetti (dispersa), dipinta nel 1928 a Parigi, oppure Composizione (Torino, coll. priv.) del 1928 circa dimostrano come il C. riusci a sfruttare e a convertire nel proprio linguaggio artistico stimoli ricevuti durante ripetuti soggiorni a Parigi tra il 1926 e il 1930, che lo misero anche a contatto con gli artisti non figurativi raccolti intorno a “L’Esprit nouveau” e a “Cercle et Carré”. Si colgono anche riferimenti a Gris, Baumeister e Léger trasmessigli forse anche tramite le opere di Prampolini di quegli anni.

In quegli anni il movimento futurista, e con esso il gruppo torinese intorno al C. (Pippo Oriani, Nicola Diulgheroff, Franco Costa, Mino Rosso, E. Alimandi e gli architetti, N. Mosso e A. Sartoris), operò una svolta importante. Il fascismo, salito al potere in virtù di compromessi con i gruppi e le istituzioni dominanti, veniva valutato da quegli artisti soltanto alla stregua di un “programma di minima”: tale atteggiamento li portò non proprio ad una opposizione al regime, ma per lo meno a polemizzare nell’ambito della politica culturale contro il “passatismo” dei burocrati dell’arte. Il C. organizzò nel 1925 contro la Promotrice torinese un’azione di protesta il cui obiettivo significativamente non fu quello di abolire questa istituzione obsoleta ma tutt’al contrario quello di ottenere che i futuristi vi fossero ammessi, cioè vi potessero esporre, obiettivo che venne effettivamente raggiunto. L’anno successivo segnò la decisiva affermazione del movimento futurista nell’ingranaggio espositivo, quando partecipò per la prima volta alla Biennale di Venezia dove d’ora in poi non mancherà mai.

Nel 1928 il C. si trovò alle soglie di un nuovo sviluppo. Lo stile della fase “cubista-purista” raggiunse una raffinatezza fin allora mai toccata nel quadro Les nussubconscients (disperso) dipinto nel 1928 a Parigi. Ma le analogie tematico-descrittive con il mondo meccanizzato cedono qui il posto a forme e simboli che cercano la loro corrispondenza in un mondo interiore. Il C. sviluppò poi un lirismo di temi e forme che A. Spaini (in IlResto del Carlino, 24giugno 1930) definì “metafisico”. Esempi di questo nuovo indirizzo sono Dramma (1929, opera dispersa), Tendenze spirituali (1929 circa, opera dispersa) e Gli innamorati (1929, Roma, Galleria comunale d’arte moderna). Durante questo periodo di contatti più intensi con Parigi il C. partecipò alle mostre parigine dei futuristi, nell’inverno del 1929-30 alla Galerie 23 e del gruppo “Cercie et Carré” nel 1930. Collaborò anche al primo numero di Cercle et Carré (15 marzo 1930, diretto da M. Seuphor) e al numero unico Documents internationaux de l’Esprit nouveau (1927). Nel 1929 tenne una personale alla galleria Codebò di Torino.

A partire dal 1928 si possono cogliere tre filoni principali nell’attività dei C.: una attività editoriale e critica, un’attività dedicata all’arte applicata e alla “plastica murale”, e infine l’attività pittorica. Tutt’e tre si sviluppano in stretta connessione con gli avvenimenti culturali e politici e rivelano nella loro contradittorietà la posizione ambivalente del C. e dei futuristi in quegli anni in cui il regime fascista cerca sempre di più di asservire la cultura.

Portavoce della sua attività pubblicistica, imperniata su pittura, architettura, plastica ed ambientazione furono le riviste da lui pubblicate (tutte a Torino se non diversamente indicato): LaCittà futurista (1929), La Città nuova (1932-34), Oggie domani (1930-35), Stile futurista (insieme con Prampolini, 1934-35), La Terra dei vivi (La Spezia 1933). Dalle loro pagine il C. intervenne nelle polemiche tra tradizionalisti, novecentisti, futuristi e razionalisti e partecipò anche ai dibattiti relativi all’arte fascista”, alla polemica tra i sostenitori dell’affresco e quelli della “plastica murale” e al problema dell’architettura di Stato.

L’impegno del C. e dei futuristi in generale, per il rafforzamento dell’arte moderna in Italia, anche nell’ambito dell’arte e dell’architettura di Stato, portò questi artisti a lavorare prevalentemente inquei campi in cui le categorie antiquate di “arte pura” e di “pittura su cavalletto” potevano più facilmente essere spezzate: arredamenti di mostre e di ambienti interni, plastica murale, progettazione di oggetti di arredamento e di complessi architettonici urbani. Così nell’anno 1928 il C. arredò il padiglione dei futuristi alla Esposizione internazionale di Torino, progettato da Prampolini, ed organizzò, insieme con Marinetti, A. Sartoris e P. A. Saladin, sempre nel 1928, la prima Mostra di architettura futurista a Torino, dove espose anche progetti per ambientazioni ed elementi di arredamento.

Nel 1931 il C. pubblicò a Torino La nuova architettura e nel 1935 (ibid.) Gli ambienti della nuova architettura, due repertori di architettura ed ambientazione moderna, a cui collaborarono Sartoris, Diulgheroff ed altri: contribuirono validamente a migliorare la posizione dell’architettura moderna in Italia, un obiettivo perseguito da futuristi e da razionalisti contemporaneamente. In questo contesto si inserì anche il tentativo dei futuristi, soprattutto di Prampolini e del C., ma anche di altri artisti del gruppo torinese come Rosso, Oriani, Diulgheroff, di introdurre in Italia il concetto di Kunst am Bau da loro chiamato “plastica murale”. Questo avvenne attraverso due mostre dedicate alla “Plastica murale, per l’edilizia fascista”, una a Genova nel 1934 e un’altra a Roma nel 1936: offrendo, per così dire, progetti già pronti per l’uso, si proponevano di invogliare il regime ad introdurre la plastica murale nell’architettura pubblica fascista (per case del Fascio, ecc.). Tuttavia la plastica murale non trovò in Italia terreno favorevole, perché non si accordava né con i concetti estetici dei regime riguardo all’architettura di Stato né con la concezione razionalistica dell’architettura.

A questi tentativi di introdurre nell’arte di Stato concetti modernistici il C. contrappose l'”aeropittura” e l'”arte sacra” con i suoi soggetti prestabiliti. Si tratta di un campo della sua opera che i critici hanno definito “involutivo”, ma che ha una parte molto importante nella sua pittura dal 1930 in poi. Nel 1929 il C. riprese da Prampolini, che l’aveva iniziata nel 1928, la tematica dell'”aeropittura cosmica”, ma con le premesse personali di “subcosciente” e di “stato d’animo”: i quadri Aeropittura del 1931 (Torino, coll. priv.), Concetto spaziale (1931 circa, ibid.), Mistero aereo (1931 circa, ibid.), Spiritualità aerea (Roma, Gall. naz. d’arte moderna, 1932) fanno parte di questo gruppo di opere. Nel 1932-34 l’aeropittura del C. assunse un altro carattere sotto l’influsso delle esperienze fatte nel campo della pittura monumentale (nel 1933 a La Spezia) e dell’arte sacra (a partire dal 1930); appaiono nelle sue opere una concezione monumentale, un nuovo rigore sintetico dell’invenzione e della composizione. L’immagine dell’uomo venne sostituita da una serie di segni fortemente astratti, carichi di simboli: le opere Paesaggio (1932, Torino, coll. priv.), Forme plastiche della sensibilità aerea (1932 circa, ibid.) e Piùpesante dell’aria (1933, Torino, coll. Colombo) costituiscono alcuni esempi significativi. L’ultimo tema dell’aeropittura del C. fu il paesaggio, soprattutto il golfo della Spezia, nella cui immagine qualcosa di leggermente vedutistico si associava al vuoto “metafisico” dello spazio, come in Il castello di Lerici (1933 circa; Torino, coll. priv.) e Porto Venere (1934, Roma, coll. priv.). A La Spezia il C. eseguì nel 1933 anche alcune opere murali monumentali: i mosaici Comunicazioni marittime e Comunicazioni terrestri nell’edificio delle Poste e Golfo della Spezia e Navi mercantili nel municipio, che possono essere considerati un approccio alla plastica murale, ma che non vanno oltre la bidimensionalità e le tecniche tradizionali della decorazione murale che invece la plastica murale si proponeva di superare.

In contraddizione solo apparente con il loro atteggiamento anticlericale, i futuristi si occuparono anche di arte sacra cui intesero dare nuovi impulsi. Il C. e Marinetti pubblicarono nel 1931 (in Oggi e domani [Roma], 6 luglio e in altri giornali) il Manifesto dell’arte sacra futurista in cui dalla loro “idolatria” per la vita moderna derivavano la pretesa di saper rinnovare, in una maniera corrispondente all’epoca, l’arte sacra. I futuristi cominciarono ad affrontare questo tema quando, in seguito al concordato del 1929, esso assunse un posto centrale nella propaganda del regime. Dopo Dottori il C. fu il pittore più attivo e più richiesto di arte sacra futurista. Nonostante compromessi artistici piuttosto sensibili che sacrificavano l’invenzione formale ed astraente ad una migliore leggibilità “liturgica”, il Vaticano non ammise i lore quadri nelle chiese, sordo all’argomento addotto dal C. che in Francia e in Svizzera l’arte moderna aveva fatto da tempo il suo ingresso nelle chiese. Per la sua arte sacra, esposta sia alla prima Mostra internazionale di arte sacra nel 1931 a Padova, sia alle Biennali di Venezia del 1932 e del 1934, il C. inventò una serie di simboli rigorosamente semplificati che diventò il vocabolario fisso di tutte le sue opere sacre e che gli permise di raggiungere una grande leggibilità. Ma nonostante questo, tra tutti i futuristi il C. è quello che nell’arte sacra ha raggiunto la maggiore astrazione dal descrittivismo figurativo e rompe perciò nel modo più radicale con le norme tradizionali dell’arte ecclesiastica. Lo dimostrano opere come L’adorazione (1931; Torino, coll. priv.), L’itinerario della passione (1933; Torino, coll. priv.) e L’eternità (1934; Torino, coll. priv.). Quando il C. morì a Torino dopo lunga malattia, il 10 febbr. 1936, il gruppo torinese perse il suo principale animatore e il movimento futurista un protagonista. Per l’arte italiana tra le due guerre la sua scomparsa significa la perdita di un “esponente appena minore dell’avanguardia europea” (Crispolti, 1961, p. 55) che aveva affrontato direttamente e sinceramente le condizioni culturali e politiche di quegli anni senza distacco, da vero partecipe.

Tra i suoi scritti (oltre a quelli citati) sono: La morte della donna, Torino 1925 (novelle); Lussuria radioelettrica, ibid. 1925 (liriche); Sensualità, ibid. 1925; L’uomo senza sesso, ibid. 1927; Diulgheroff, pittore futurista, ibid. 1929; Mino Rosso scultore, ibid. 1930; Il futurismo, ideologie, realizzazioni e polemiche del movimento futurista italiano, Milano 1932.



(English)
Fillia (3 October 1904 – 10 February 1936) was the name adopted by Luigi Colombo, an Italian artist associated with the second generation of Futurism.

Fillia was born in Revello, Piedmont. He established the Futurist movement in Turin in 1923 at the age of 19 with a group which included Nikolay Diulgheroff, Pippo Oriani, Enrico Alimandi, Franco Costa and the sculptor Mino Rosso. Fillia quickly became the leader of the group and its principal theorist. He published the art reviews: Futurismo (Futurism) (1924), Ventrina Futurista (1927), La Città Futurista (The Futurist City) (1929), La Città Nuova (The New City) (1930-1934), and Stile Futurista (Futurist Style) (1934-1935) with Enrico Prampolini. His work in the mid-1920s shows the influence of Prampolini. After 1928, Fillia’s work shows increasing subjectivity.

He became an exponent of L’Aeropittura (Aeropainting), the dominant Futurist style of the 1930s which applied the experience of flight to the depiction of landscape aerially; the world was no longer seen from the perspective of the person on the ground but as if from an aeroplane. In 1929, he was a co-signatory of the Futurist manifesto L’Aeropittura, with Benedetta Cappa, Depero, Gerardo Dottori, Marinetti, Somenzi, Tato and Prampolini.

Fillia was the co-author with Marinetti of the Manifesto of Futurist Cooking, published in the Turin newspaper, Gazzetta del Popolo, on 28 December 1930.

Enrico Crispolti says that Fillia and his colleagues in Turin explored an interior, psychological and subjective world, unlike other Futurists of the period such as Prampolini and Depero. Fillia had recourse to an “airy body”, a “synthesis of movement, of the organic aspect, of the emotions of flight”.” The ectoplasmic forms which appear in Fillia’s paintings of the late twenties and early thirties contrast with the rigidity of his earlier work and were taken up to explore the subconscious. His interest in the spiritual aspects of art turned to specifically religious painting from 1930 to 1933. He had large exhibitions at Padua (1931), La Spezia (1932) and Florence (1933) and in 1932 co-authored the Manifesto of Sacred Futurist Art with Marinetti.

He had an interest in architecture, designing the Futurist Pavilion at the 1928 International Exhibition in Turin.

Fillia’s activities as an organizer and polemicist, which he continued through his contact with the avant-garde in his numerous trips to Paris, ended with his death at Turin in 1936 at the age of thirty-two.

There are works by Fillia in the collections of the Galleria d’Arte Moderna in Rome, the Galleria d’Arte Moderna in Turin, and in a number of private collections. His Works Senza titolo, 1923, is by Museo Cantonale d’Arte of Lugano.